domenica 2 settembre 2007

Aveva i miei stessi occhi mio padre
ancor li ricordo fissi nei miei quando nacqui,
in quella fredda e pungente sera di 25 inverni addietro.
Stretta fra le sue muscolose braccia, un possente abbraccio quanto
tiepido e morbido, le labbra dischiuse a pronunciare quel nome.

°Argentea°
La mia piccola Argentea

Per sedici lunghi anni trascorsi le mie tediose giornate in quella buia
catapecchia in rovina, in una stanzetta ove passavo
gran parte del mio tempo ad aspettare che tornasse mio padre.
Era diventata il mio mondo quella stanza, il mio rifugio da ogni cosa,
pregno d'una malinconia e d'una tristezza che sol il mio animo
riconosceva, tenendomi in una prigionia quasi forzata, rotta solo dal ritorno di mio
padre.
°Un giorno quel desiderio si spense°

Non volle mai dirmi il perchè della presunta morte di mio padre quella donna
che nonostante mi avesse donato vita, ne rendeva ogni frammento
cupo e privo di brillìo alcuno.
Da alcune voci venni a sapere che proprio quella donna che chiamavo madre,
aveva pagato di propria corrotta mano qualcuno che uccidesse mio padre,
impossessandosi così di ogni eredità.
Rapido e impetuoso il fluire del sangue nelle mie vene dissetavano
un cuore che improvvisamente era carico di rabbia e desideroso di una vendetta
che non si sarebbe mai compiuta.
Una di quelle sere però
scappai da quella bettola
da quel rifugio che senza di lui non valeva più nulla,
non significava più nulla.

Un'intera giornata a muovere quel passo trascinato,
affranta, senza più nulla che mi tenesse in vita, muovendomi inconsciamente
verso est, verso una porzione dell'Anar del Sud, solcando quel terriccio molle.
Trovai nuovamente un piccolo posto dove stare, dove lasciar riposar il corpo dal viaggio
e le emozioni dai danni subiti.
Crescevano man mano, tessevano trame entro la mia mente, mentre io, incapace di fermarle
restavo immobile, in quel lembo di bosco adito ad ospitarmi.
Ma ero sempre sola.

Un giorno, seduta su quel lembo di manto erboso,
mi giunse una sorta di segno,
un qualcosa di particolare e inaspettato che pareva giunger dal cielo.
L'osservai cadermi affianco, trasportato dal vento quel foglio di pergamena
pittato di carboncino nero.
Con fatica tesi la mano a raccoglierlo, portandolo all'iridi stanche, mostrando loro
qualcosa che destò un interesse fervido.
Un disegno.

°Un mio ritratto°
Mi rappresentava in ogni dettaglio,
una mano esperta mi aveva resa viva entro quel disegno che raccontava ogni mio stato d'animo,
ogni sentimento provato in quei giorni.
Non lo vidi quela sera, non vidi l'artista
di quella rappresentazione, fuggì subito dopo aver perduto il disegno dalla collinetta sovrastante.
Speravo d'incontralo, d'incontrare quella meravigliosa persona che pareva conoscermi
più d'altri traverso quegli schizzi che trasudavano ciò che ero.
Mi teneva in vita quel desio, avevo un nuovo scopo sebbene futile e piuttosto
strano.

Venne una sera in cui al termine d'una passeggiata fui attaccata da alcuni gnomi
decisi a togliermi la vita per il solo piacere d'intingere l'erba dell'anar col Sangue.
Scappai finchè le mie gambe lo permisero, fino allo stremo delle forze,
accasciandomi poi esausta a terra, sicura che il battito grave del cuore,
fosse l'ultimo rintocco della mia vita.
Per un attimo chiusi le palpebre, pronta ad esser colpita ma nulla, solo un fruscìo di foglie e un ululato.
Ai miei occhi apparve una figura maschile, di spalle, sostava innanzi a me compagnato da un lupo
dal pelo scuro e insieme mi salvarono la vita.

°Fu facile innamorarsi di lui°
Talmente facile

Lunghi interminabili attimi trascorsi felice accanto a quel ragazzo che pareva amarmi in egualmodo,
un ritaglio idilliaco e pacato nella mia vita
che tornava a tingersi di colori carichi e accesi.

°Così poche quelle tinte°
Presto seccarono
Lo trovai senza vita su quel giaciglio ove la notte quanto il giorno amava regalarmi attenzioni
solo un ricordo ora, annegato con la sua perdita.
Lo guardavo immobile impotente difronte alla morte, mentre
un cadenzato zampettare mi riportava pian piano alla realtà, costringendomi a voltare il capo e
posare l'iridi sul suo lupo.
Mi raggiunse tranquillamente, con un espressione del muso quasi umana,
quasi fosse esattamente conscio della perdita del proprio padrone.
Reggeva qualcosa fra le zanne, una piccola cordicella nera, al termine d'essa un pendente,
zanna fra le zanne incastonata in onice.
Parea quasi che l'animale lo desse a me, in un gesto affettuoso quanto
d'obbedienza, riconoscendola come padrona ora che lui non v'era più.

Dal giorno che l'indossai cominciò a seguirmi e mai abbandonò le mie tracce.

Decisi di ripartire dunque, lasciare qual luogo nuovamente pregno di ricordi
opo aver donato degna sepoltura a lui e aver trovato un'ennesima sorpresa prima di lasciare l'Anar.
Nella borsa dei pochi averi di lui, lasciata accanto al nostro giaciglio,
vergine ai miei occhi in quanto mai osservata all'interno, giacevano fogli di pergamena stropicciati.
Il mio viso, il mio corpo, inanimati, seppur accesi e quasi palpabili,
erano ritratti in quei ruvidi e logori fogli.
Quel misterioso artista di cui desideravo conoscere l'identità,
mi era stato accanto e intimo più di quanto avessi desiderato e non l'avevo mai scoperto
sino ad ora.
°Troppo tardi°